Caduta di Tlemcen

Caduta di Tlemcen


Maggio 1518
(Jumâda Al-Awwal 924)


Tlemcen

Con Arouj Barbarossa


Mentre Arouj Barbarossa si occupava di fortificare Tlemcen, insieme a suo fratello Khayr-ad-din, Carlo I, il futuro imperatore Carlo V, giungeva ad Orano dove si riuniva con il governatore Diego di Cordoba, marchese di Comares, lo sceicco Buhammud, ed il figlio di Salim-ed-Tevimi al comando di molti beduini e mori.
Il marchese spingeva per un intervento rapido, prima che i Barbarossa fossero in grado di forzare il blocco di Orano che ormai era l'ultimo baluardo spagnolo in quella regione della Barberia. Dal canto suo, il diciasettenne Carlo I vedeva l'occasione per iniziare il suo regno con una vittoria di grande risalto in patria. Entro l'estate veniva assembleato un corpo di spedizione di diecimila fanti, quasi tutti veterani, che era pronto a mettersi in marcia.
Arouj Barbarossa sapeva di non avere forze sufficenti per affrontare un corpo di armata di simili proporzioni e inviava una richiesta di aiuto al re di Fez il quale però tergiversava a lungo di fatto non fornendo alcun supporto al corsaro turco. Probabilmente l'espansione ottomana, che oltrettutto scatenava violente reazioni da parte degli spagnoli, era problematica anche per i sultanati della costa.
Arouj Barbarossa non si perdeva però d'animo e si apprestava a difendersi con millecinquecento archibugieri turchi e cinquemila mori a cavallo. Ma nonostante le migliorie apportate alle difese, dopo solo venti giorni di assedio per Arouj era diventato chiaro che Tlemcen sarebbe diventata la sua tomba e decideva così di ritirarsi nottetempo verso Algeri. Per cercare di ritardare l'avanzata degli spagnoli Arouj faceva disseminare per strada gli ori e tutti i frutti delle sue scorrerie. Gli spagnoli, esercito inquadrato e professionale, passavano sopra questa trappola e si lanciavano all'inseguimento con i cavalli sequestrati a Tlemcen.
Arouj Barbarossa arrivava al fiume Huexda, un rio polveroso d'estate ma ancora impetuoso in primavera, riusciva a superarlo e avrebbe potuto mettersi in salvo, ma, dopo aver visto la sua retroguardia attaccata dagli spagnoli decideva di tornare indietro (seguito da buona parte dei suoi uomini) e combattere. I turchi si attestavano su una collina "col viso e il petto volti al nemico, come uomini decisi a una fine gloriosa" e decidevano di opporre l'ultima resistenza, in mezzo ad essi Arouj "pur con un braccio solo, combatté come un leone fino all'ultimo respiro".
Così, con il corpo coperto di ferite, moriva in combattimento Arouj Barbarossa, primo fondatore di un regno turco in Barberia. A lui sarebbe andato il tributo anche di storici contemporanei che avrebbero avuto tutte le ragioni per detestarlo.
Sette bandiere turche venivano catturate e sessanta schiavi cristiani venivano liberati. Un tenenente spagnolo, Garcia de Tineo, decapitava Arouj Barbarossa. La testa, imbalsamata e messa su una picca, veninva portata in processione ad Orano per essere poi esposta sulla porta grande della cinta muraria prima di essere mostrata alle tribù. Il corpo del Barbarossa veninva invece inchiodato al muro a Tlemcen, tra quattro torce che bruceranno a lungo, notte e giorno. La sua testa farà poi il giro delle principali città marittime della Spagna.
A Fernandez de la Plata, il capitano che per primo gli aveva sferrato un colpo di spada, veniva conferito un titolo nobiliare: nel suo stemma gentilizio verrà raffigurata la testa del corsaro, la sua scimitarra ed il suo stendardo.
Il de la Plata avrebbe poi donato il manto di broccato cremisi che il Barbarossa indossava al monsastero di San Girolamo di Cordova, città che si distingueva per le bellezze con cui l'avevano arricchita gli archietti mori durante l'occupazione. Nella cattedrale, che era stata la seconda opera religiosa più imponente di tutto il mondo arabo, il mantello del Barbarossa diventava il mantello di San Bartolomeo, anche se gli abitanti continuavano a chiamarlo la capa de Barbarossa. Tlemcen era restituita dagli spagnoli a un capo locale in cambio di un versamente annuale di dodicimila ducati, dodici cavalli arabi e sei falconi da caccia per il re di Spagna. Il re di Fez andava infine in suo aiuto, forte di un esercito di ventimila uomini che sarebbe bastato abbondantemente per tagliare gli spagnoli fuori da Orano. Saputa la notizia della morte del Barbarossa tornava sui suoi passi.