Costantinopoli
Era tradizione dei levantini navigare solo dal giorno di San Giorgio (5 Maggio) al giorno di San Demetrio (26 Ottobre). L'inverno era il tempo per costruire la pace o per armare la guerra. Anche l'inverno tra il 1496 e il 1497 (anno 902 a Costantinopoli) non sfuggiva a questa stagionalità. Il sultano Bayezid II, in carica dal 1481 (era stato nominato all'indomani del sacco di Otranto compiuto da Ghedik Ahmet Pascià) era un uomo moderato e pio, tanto che i turchi lo chiamavano "Veli" e cioè il santo. Gran costruttore di moschee e monasteri, per le questioni belliche ascoltava spesso i consigli da Davud Pascià, gran visir di origini albanesi e uomo d'azione. Quell'inverno l'idea era stata quella di raccogliere a Costantinopoli i principali pirati che agivano nei mari limitrofi (l'Egeo in particolare) e offrire loro di passare al servizio del sultano in cambio di uno stipendio.
I turchi non avevano familiarità col mare: erano venuti dalla profondità del continente attraversando i fiumi con battelli (çamac) e caicchi (Kajak). Non avevano neanche una parola per indicare il mare, si erano fatti prestare dai Persiani la parola deryasi da cui deniz che indicava genericamente tutte le acque sia dolci che salate.
Per un paese dove si trovavano molto più spesso agricoltori che pescatori, dove si cantava l'ulivo e il fico e si coltivava la vite, il melograno e il mandorlo, trovare abili marinai per tenere testa a Venezia e agli imperiali era diventata una necessità.
Per lunghi anni il sultano Bayezid aveva stipulato contratti con le varie forze cristiane (i cavalieri ospitalieri di Rodi, il Vaticano a Roma, la Serenissima repubblica di Venezia) affinché "custodissero" suo fratello Cem lontano da Costantinopoli dove temeva potesse aizzare una faida ai suoi danni. Alla morte di Cem, avvenuta a Capua nel 1495, i cristiani non avevano più argomenti per ricattare il sultano che poteva quindi pensare ad armare la sua flotta. Quell'inverno i mercanti veneziani riferivano agitati "che era in atto un massiccio programma di costruzione navale" e lasciavano intendere che "simili preparativi potevano avere un solo obiettivo".
Chi erano gli uomini di mare a cui poteva rivolgersi il Sultano?
»»» Il primo sicuramente era Kemal Alì «««
Un turco di Gelibolu la cui famiglia veniva da Karaman (nell'Anatolia centrale), era zio del famoso cartografo Piri Reis.
Kamal Alì aveva iniziato la sua carriera in mare una decina di anni prima al comando di una nave del sangiacco di Negroponte (Eubea). Poi era stato inviato dal sultano Bayezid II in soccorso dell'emiro di Granada Abou Abdallah che era in guerra con castigliani ed aragonesi. Aveva assalito Malaga dando alle fiamme i villaggi limitrofi, mettendo a sacco le abitazioni e facendo prigionieri numerosi abitanti.
Aveva proseguito poi le sue scorrerie nelle acque della Corsica, delle isole Baleari ed era stato avvistato anche nei pressi di Pisa. Tra il 1490 e il 1492 in numerose occasioni aveva trasferito sulle coste maghrebine i moriscos e gli ebrei in fuga dall'Andalusia. In un suo passaggio aveva anche bombardato dal mare i porti di Alicante, Malaga e Almeria.
Già nel 1495 gli era stato affidato il comando di una squadra della flotta ottomana.
L'inverno precedente Kamal Alì aveva seguito la costruzione di due galee grosse armate di ventidue cannoni più quattro spingarde, le "Goke": erano navi all'avanguardia: lunghe trentadue metri, larghe quattordici, dotate di un albero maestro con vela quadra e un albero prodiero, più piccolo con vela latina, un unico timone a poppa "alla navarresca", erano in grado di trasportare ben settecento soldati. La diffusione della cartografia nel Mediterraneo incentivava lo sviluppo di navi più imponenti. Nei piani del sultano queste due Goke dovevano essere affidate una a Kamal Alì ed una a Burak Reis. Invece nel 1496 Kamal Alì salpava da Costantinopoli con una squadra pirata composta da cinque galee, cinque fuste, una barza da 1500 botti ed una nave più piccola. I Veneziani avevano paura che volesse puntare su Taranto, ma negli ultimi mesi dell'anno si fermava nel Peloponneso insieme al suo braccio destro Jorge Andero: un rinnegato di Ibiza che, ricercato dal re di Spagna di cui era suddito, dalla Francia, dai veneziani e dai cavalieri di Rodi, si era rifugiato nell’impero ottomano dove si era fatto musulmano.
Uomo di mare di lungo corso, sei anni prima si era scontrato a Salonicco con un mercante di veneziano, Ambrogio Contarini, che si trovava in porto con uno schierazzo a caricare frumento. Dalla trattativa tra il mercante e il pirata era nato un alterco degenerato in scontro quando i pirati avevano accusato il veneziano di voler uccidere il loro comandante.
Dal confronto uscivano vittoriosi i pirati che uccidevano tutti i marinai della Serenissima; Ambrogio Contarini con quattro ferite sul corpo veniva catturato e fatto bruciare vivo.
Non sempre la fortuna però aveva arriso all'Enrichi: nel Maggio del 1496 infatti era stato costretto a fuggire sull'isola di Eubea per evitare la cattura che il beilerbey dell'Anatolia, che navigava nell'arcipelago con dieci fuste, aveva ordinato per i pirati. Era appena accaduto infatti che due fuste di un comandante collegato all'Enrichi, il Caplici, erano state catturate e i membri dell'equipaggio impalati (quindici sull'isola di Chios e venticinque a Porto Serfana). Lo stesso Caplici non sarebbe sfuggito a lungo ai turchi: sarebbe stato infatti giustiziato il mese successivo dalle autorità di Mitilene insieme a ventitré suoi uomini (tutti fatti impalare) e quattro mercanti turchi (ognuno dei quali era proprietario di diecimila ducati) rei di aver acquistato e venduto mercanzia appartenente alla Sublime Porta.
Enrichi nel frattempo, sempre nel mese di giugno del 1496, si era spostato nell'acque di Ayion Oros nella penisola Calcidica. La sua flottiglia era composta da tre fuste: una al comando di Enrichi, una al comando di un corsaro noto come Cozomiti e una al comando di un corsaro originario di Skyros Hassan Kara che aveva a bordo, come secondo, suo fratello Kara Tornus. I tre si imbattevano nella barzotta comandata dal corsaro genovese Seregola e la assalivano, ma costui reagiva e riusciva a impossessarsi delle fuste di Kara Hasan e del Cozomiti. Enrichi, sebbene ferito da un verrettone, riusciva a sfuggire alla cattura e riparare a Mitilene, sull'isola di Lesbo. Ma nello stesso porto giungevano le dieci fuste del beilerbey dell'Anatolia che gli sequestravano la nave e lo trattenevano prigioniero nel palazzo. Ventitre membri del suo equipaggio venivano impalati, mentre Enrichi, portato a Costantinopoli insieme a Kara Hassan, incontrava il Sultano che gli proponeva un accordo.
Oltre ai citati Kamal Alì, Jorge Andero, Enrichi e Kara Hassan c'erano altri pirati che erano saliti alle cronache: erano quattro fratelli figli di un vasaio cristiano di Mitilene, sull'isola di Lesbo, chiamato Jacob, sapevano parlare molte lingue e di mestiere erano commercianti, ma non disdegnavano di fare qualche piccolo colpo con la nave che sapevano portare egregiamente. I loro marinai gli erano molto affezionati tanto da chiamarli baba rais (comandante papà). Il più grande dei fratelli Arouj aveva una caratteristica fisica inconfondibile: la folta barba rossa.
L'etimologia del termine pirata viene dal greco, attraverso il latino e il sostantivo peiratés è una derivazione della forma verbale peiràomai, che significa "provarci", "fare un tentativo", "azzardare un assalto". In mare, fin dall'antichità, risiedeva l'unica possiibilità di assaltare il destino, di tentare, di impadronirsi della propria vita.