L'assedio di Rodi in alcune miniature
Eubea, Rodi
Con Talaisman Rais
Per il sultano Solimano I i tempi erano maturi per lavare l'onta della sconfitta del 1480 a Rodi ed affermare il controllo quasi totale sul Mediterraneo orientale. La congiuntura politica era favorevole: Carlo V e Francesco I stavano mettendo a ferro e fuoco l'Italia, mentre lo scisma luterano indeboliva il ventre molle dell'impero. Veniva così allestita un'imponente spedizione a cui partecipavano tutti i principali comandanti Ottomani: il comando era affidato a Kurtog Alì comandante esperto a cui i cavalieri avevano ucciso due fratelli e imprigionato un terzo proprio a Rodi. Secondo in comando era Kara Mahmud che dopo anni da pirata era tornato al servizio della Sublime Porta. Alla testa di dodici vele si presentava al punto di raccolta della flotta, all'isola di Eubea, Moro di Alessandria, tre galee, due fuste e tre barze erano sotto il comando di Talaisman Rais, un numero imprecisato di navi erano condotte dall'ebreo di Smirne Sinan e da Amurat Rais che navigava collegato con il corsaro Suliman Rais, un focese originario di Chios.
Dall'altra parte il neo-eletto Gran Maestro l'Isle-Adam, racimolava tutto il denaro possibile e salpava da Nizza alla volta di Rodi dove si metteva a lavorare alacremente per migliorare le difese e preparare le vettovaglie per resistere all’assedio: veniva aumentata la profondità dei fossati, la resistenza delle mura ma anche la produzione delle macine.
Mura e fossi non potevano bastare, quindi l’Isle Adam aveva diversi uomini alla ricerca di mercenari e munizioni. Antonio Bosio si recava a Creta e comprava una buona quantità di munizioni, ma il governatore dell’isola, onde evitare di attirarsi l’ira ottomana, pubblicava un bando pubblico con cui vietava l’assoldamento di mercenari sull’isola. Lavorando dietro le quinte, Bosio riusciva comunque ad ottenere 400 arcieri e la consulenza dell'ingegnere veneto Gabriele Martinigo, esperto in fortificazioni ed artiglieria.
Anche a Rodi i preparativi erano frenetici. Per le strade si vedevano solo officine di fabbri, intenti a fabbricare corazze elmi e scudi, e immense fornaci ove si fondevano cannoni e colubrine I campi d’addestramento provavano manovre e tattiche giorno e notte.
Sotto la guida del Martinigo, centinaia di uomini venivano istruiti sull’uso dell’artiglieria, si piazzavano mine per evitare che i turchi scavassero dei tunnel sotto le mura, si fortificavano i palazzi più importanti della città e si trinceravano le vie, in modo da tentare una resistenza casa per casa nel caso le mura avessero ceduto. Grosse catene e navigli affondati impedivano l’ingresso nel porto.
Il Gran Maestro passava quindi in rassegna le sue truppe: cinquemila uomini. I Cavalieri erano seicento, ma c’erano anche mercenari, galeotti, marinai, oltre ai rodiani più prestanti. L’Isle Adam teneva sotto il suo comando diretto la difesa del punto più debole delle mura: il quartiere di Santa Maria della Vittoria.
Prima dell’attacco, Solimano spediva una lettera al Gran Maestro, dove prometteva che avrebbe permesso a rodiani e Cavalieri di abbandonare l'isola con i loro averi (o rimanere senza alcun pregiudizio per l’esercizio della religione cristiana) se ci fosse stata una resa immediata, altrimenti “piglieremo voi schiavi e di mala morte morirete”.
Il Gran Maestro non aveva neanche risposto. Aveva invece dato ordine di fare terra bruciata intorno alle mura di Rodi e avvelenare i pozzi nei dintorni, incendiare i boschi e distruggere le fattorie.