L'assedio di Rodi

L'assedio di Rodi


Giugno 1522
(Jumâda Ath-Thânî 928)


Rodi

Con Talaisman Rais


La guerra iniziava senza troppo clamore, con l’arrivo di trenta imbarcazioni presso l’isola di Kos, retta da Pregeant de Bidoux che riusciva ad aggredire i turchi appena tentavano di sbarcare costringendoli alla ritirata. Poco più di una scaramuccia.
Il 26 Giugno 1522 un'enorme flotta apparve a largo di Rodi, quattrocento navi trasportavano centomila uomini e migliaia di schiavi danubiani sulle sponde dell’isola. Il Gran Maestro L’Isle-Adam, per evitare il panico fra i cittadini, decideva di tenere ugualmente la processione programmata, e poi celebrava la messa nella Chiesa di San Giovanni in Collacchio. Le vele turche riempivano il mare circostante, e tutta la cittadinanza ascoltava la messa, uno scenario surreale. Finita la messa, venivano chiusi i cancelli e issati gli stendardi sulle torri.
L’Isle-Adam cercava di tenere a freno l’ardore dei suoi, che volevano addirittura impedire lo sbarco dei turchi. Infatti, la preoccupazione più grande del Gran Maestro durante tutto l’assedio era quella di non perdere uomini inutilmente: i turchi potevano sostituire i loro morti, i Cavalieri no.
Un fiorentino, Girolamo Bartolini, aveva proposto un progetto che prevedeva la distruzione della flotta nemica attraverso l’utilizzo di una qualche sostanza esplosiva, ma il Gran Maestro non lo aveva preso in considerazione.
I turchi sbarcavano senza problemi tre miglia ad est della città, e per tredici giorni preparavano il campo. La mossa successiva dei turchi era quella di scavare delle trincee, ma i manovali valacchi usati per il lavoro venivano continuamente massacrati dalle sortite dei Cavalieri. Anche le prime batterie di cannoni piazzate dai turchi furono distrutte dall’artiglieria di Rodi.
Intanto, giungeva in porto Pregeant de Bidoux che, sfruttando il vento propizio con il suo brigantino, riusciva a passare fra le navi turche senza essere colpito.
In realtà, l’assedio era cominciato senza troppa convinzione. I turchi, ricordando cos’era accaduto l’ultima volta, non avevano alcuna voglia di buttarsi sotto le cannonate degli Ospitalieri.  Sappiamo anche che un disertore si era gettato in acqua con le navi ancora a sei miglia dalla costa e raggiunse la Torre di San Nicola, informando gli Ospitalieri del malcontento che serpeggiava fra le fila nemiche, in particolar modo fra i Giannizzeri, che nell’assedio precedente avevano subito delle perdite pesantissime.
Fir Mehemed pasha, uno dei generali di Solimano, resosi conto della situazione decideva di informare l’Imperatore, che giungeva sull’isola il 28 Agosto con altri quindicimila Giannizzeri riportando l’ordine fra le proprie fila.
Nel frattempo, i Cavalieri riuscivano a smascherare un complotto ordito da alcuni schiavi turchi, capeggiati da una donna, che avevano intenzione di appiccare il fuoco in diversi punti della città ed aprire le porte a Solimano nel caos che ne sarebbe seguito. Gli schiavi venivano cristianamente torturati ed uccisi.
Tuttavia i cavalieri covavano in seno una serpe ben peggiore: il Cancelliere D’Amaral, che era stato battuto da l’Isle-Adam nell’elezione del nuovo Gran Maestro, manteneva i contatti con i turchi per tutta la durata dell’assedio, ma alla fine veniva scoperto anch’egli.
Di un altro episodio di tradimento veniva incolpato un medico ebreo che avrebbe comunicato (con una freccia con messaggio incorporato) al nemico di colpire il campanile dietro la chiesa di S.Giovanni, che veniva utilizzato dai Cavalieri come punto di osservazione privilegiato sull’esercito turco. Effettivamente, il campanile fu cannoneggiato e abbattuto, ma anche il buon ebreo veniva scoperto solo un paio di mesi dopo, mentre tentava di comunicare che le risorse della città si stavano esaurendo. Torturato e ucciso, ovviamente.
Le truppe di Solimano circondavano completamente Rodi. Da sud a nord erano schierati i soldati di Fir Mehmed pasha (vicino ai bastioni di S. Giovanni), seguiti quelli di Cassim pasha (divisioni dall’Anatolia), di Mustapha pasha e di Achmet pasha. Chiudevano il cerchio i Giannizzeri , guidati da Baly Aga.
L’impressionante parco d’artiglieria giunto al seguito dei turchi era costituito sei pezzi da tre palmi, quindici da cinque o sei palmi, dodici bombarde da nove palmi e due da undici palmi, dodici basilischi da otto palmi, quindici doppi cannoni e dodici mortai per il tiro verticale.
Solo nella prima parte dell’assedio arrivavano sulla città 1.713 pietre e 8 palle d’ottone incendiarie.
Successivamente, Solimano faceva erigere dei terrapieni, uno di fronte alla Posta d’Italia e l’altro fra quella di Spagna e di Germania, in modo che la sua artiglieria potesse colpire la città da un livello dieci piedi superiore a quello delle mura di Rodi.
Un fuoco pesante si abbatteva sulla Torre di San Nicola e sulla Posta d’Alvernia, su quella d’Italia e sui bastioni di Santa Maria. Per quasi un mese sarebbe stata guerra d’artiglieria. I turchi causavano danni enormi, ma i Cavalieri continuavano con le riparazioni, e la costruzione di barricate sopra le rovine e dietro di esse.
Intanto, sotto le mura si combatteva un’altra battaglia. Da una parte c’erano i minatori turchi, che scavavano tunnel sotto le mura per farle saltare dalle fondamenta, dall’altra gli uomini dell’artigliere veneziano Gabriele Tadino di Martinengo, che aveva fatto piazzare diverse contro-mine prima dell’inizio dell’assedio. Dopo trentadue tentativi a vuoto, il 4 Settembre gli ottomani riuscivano ad aggirare le difese di Gabriele Tadino e causarono una grossa esplosione sotto il bastione inglese, facendone crollare buona parte.
Sentito il botto, drappelli di turchi uscivano dalle trincee e raggiungevano la sommità delle mura crollate, piantando i loro vessilli. Dopo un momento di confusione, i Cavalieri si riorganizzavano e lo stesso Gran Maestro si precipitava alle mura con la sua guardia personale, brandendo un martello d’arme. I turchi di Mustapha Pascia arretravano, sorpresi dalla reazione dei difensori, ma era lo stesso generale ad uccidere diversi soldati in ritirata e a guidare un nuovo attacco. Le mura crollate erano presidiate da parecchi uomini ed anche il secondo attacco falliva.
Gli attacchi continuavano contro la Posta di Spagna, d’Inghilterra, di Provenza e d’Italia. Cannoni, archibugi, fuoco greco, spadoni, mazze, martelli d’arme, picche, alabarde, scimitarre, sparavano e si incrociavano sulla breccia. Si combatteva nel fumo spesso delle artiglierie. I Cavalieri ed i soldati mercenari, quasi sicuramente in armatura a tre quarti e dotati di armi pesanti, riuscivano a resistere al fuoco e alle scimitarre. Oltre ai soldati, combattevano con ardore anche i frati, in particolar modo i francescani. I vecchi ed i bambini tiravano pietre, acqua e olio bollente e pece. Le donne facevano da infermiere, maneggiavano gli archibugi e i cannoni, alcune combattevano addirittura sugli spalti.
I turchi assaltavano in massa il 13, il 17 ed il 24 Settembre.  Il 17 fu ucciso in combattimento il Turcopiliere (capo della Lingua inglese) John Buck e molti altri cavalieri perdevano la vita, ma i turchi non riuscivano mai a sfondare.
Solimano cercava di spronare i suoi promettendo loro il saccheggio della città e facendosi costruire una posizione sopraelevata, in modo da osservare la battaglia. Alla Posta di Spagna, i suoi Giannizzeri sembravano avere la meglio per qualche tempo, ma poi venti Cavalieri e trecento soldati della Torre di San Nicola li aggredivano alle spalle.
Solimano era testimone di una lunga serie di ritirate. Furioso, condannava a morte i due pascha,  Mehmed e Mustapha, i quali gli avevano lasciato credere che contro una simile forza d’attacco Rodi avrebbe resistito per poche settimane. Fortunatamente per loro, Fir pascha riusciva a far cambiare idea al sovrano, che si limitava a rispedirli sul continente. Anche l’ammiraglio Kurtog Alì aveva attirato le ire di Solimano, che lo faceva fustigare sulla poppa della galea che capitanava.
I turchi concentravano gli sforzi verso il baluardo d’Inghilterra, affidando l’impresa ai mamelucchi, rivali dei giannizzeri per coraggio e capacità guerresche. Ma anche la sfortuna si accanìiva con i turchi: Fir pasha riusciva a far piazzare una mina sotto il terrapieno d’Italia e a farla brillare il 4 Ottobre, ma l’esplosione sfiatava verso i turchi pronti all’assalto, facendone strage.
La conta dei morti fra i turchi iniziava ad esser impietosa. Achmet pascha optava per un nuovo cannoneggiamento, stavolta prendendo di mira il baluardo di Spagna con tutti i pezzi a sua disposizione (ne aveva fatto anche smontare diversi dalle navi). I suoi soldati riuscivano a penetrare, ma alla fine venivano respinti.
Achmet si rivolgeva allora al baluardo d’Inghilterra. Il 12 Ottobre, i suoi soldati giungevano alle mura nel cuore della notte e poggiavano le scale, ma veninvano scoperti dal capo dei difensori Pregeant de Bidoux, che riusciva a respingerli con i suoi uomini.
In Ottobre il Gran Maestro aveva avuto la definitiva conferma da Roma che il papa non disponeva delle finanze per correre in soccorso dei Cavalieri. Il disastro protestante e le spese sostenute per rimpinguare Roma di meraviglie architettoniche ed artistiche (siamo all'apice dell'opera di Michelangelo) avevano lasciato a secco l’erario.
Ormai c’erano diversi punti da cui i turchi potevano fare irruzione, ma venivano presidiati dalle mura e dalle barricate erette in loro corrispondenza. La battaglia continuava anche sottoterra, da dove gli assedianti cercavano di distruggere ed aggirare le rimanenti fortificazioni.
In quel periodo, veniva finalmente scoperto il complotto del Cancelliere d’Amaral, il rivale di L’Isle-Adam. Un suo servo veniva scoperto sulle mura con arco e balestra c, condotto alle prigioni, confessava di essere il tramite fra d’Amaral e Solimano. In particolare, confessava di aver recapitato un messaggio a Solimano per non farlo desistere dall’attaco, poichè la città mancava di munizioni, soldati e cibo.
D’Amaral respingeeva le accuse anche sotto tortura, ma veniva condannato a morte assieme al suo servo. Quest’ultimo veniva impiccato, mentre il d’Amaral subiva una veloce decapitazione davanti alla folla urlante, era il 4 Novembre. Il suo corpo era squartato e diviso in quattro parti.
Nel campo ottomano, Solimano insisteva che si desse il via all’attacco finale. Le mura della città erano distrutte in più punti, in alcuni baluardi occupati, rimanevano solo le barricate interne e alcuni tratti delle fortificazioni. Il generale Achmet invece temporeggiava.
Prevalse il sovrano. Il 29 Novembre i turchi tentavano di entrare in massa dalla posta di Spagna. Purtroppo per loro, parecchi cannoni erano puntati verso la breccia, e furono falcidiati. Giunse poi Pregeant de Bidoux, alla testa di cento Cavalieri, per continuare lo scontro. Ferito più volte e con l’armatura in pezzi, continuava a combattere. A furia di colpire le armature nemiche, il suo spadone andava in frantumi, ma egli continuava a colpire con il pesante pomolo dell’arma, usandolo come un martello. Una ritirata disordinata rompeva le file nemiche, tanto che sul campo ne rimasero almeno un migliaio di uomini. La situazione di Rodi era ormai disperata.