Battaglia di Tunisi del 1535, attacco a La Goletta
Tunisi
Con Khayr-ad-din Barbarossa
Carlo V si era mosso celermente e nel luglio del 1535 aveva radunato a Barcellona una flotta di ottantadue galee e duecento altri vascelli, affidata al comando di Andrea Doria. Il 10 Giugno, fatto scalo a Cagliari, l'ammiraglio genovese, imbarcato sulla galea imperiale, usciva dal porto a capo della più imponente armada mai vista fino ad allora nel Mediterraneo, alla sua destra c'era la capitana della flotta pontificia, alla sua sinistra la capitana dei cavalieri di Malta e dietro di sé la capitana di Genova. Tutti i principali comandanti cristiani facevano parte della spedizione: c'era il cavaliere di Malta Vincenzo Cicala, lo spagnolo Santa Cruz e molti altri, le navi erano sospinte, in parte, da protestanti portati in catene dalle Fiandre. Ventimila marinai, trentamila soldati e un finanziamento di un milione e ducentomila ducati proveniente dal tesoro del Perù erano i numeri spaventosi della missione il cui scopo era rimettere sul trono di Tunisi, in qualità di vassallo, Muley Hasan.
Barbarossa disponeva per la difesa della città di novemilasettecento uomini, di cui tre quarti erano di origine asiatica, mentre i rimanenti erano africani che per lo più si sarebbero poi rifiutati di combattere. Il Barbarossa teneva per sé un contingente di cinquecento turchi con cui si collocava nella fortezza che era munita di trecento cannoni di bronzo e disponeva i suoi corsari alla difesa della città. Tra questi c'erano Sinan, Aydin Rais, Salech Rais, Tabach Rais, Hasan Agà che era suo figlio adottivo, Chiafer Rais che comandava i giannizzeri e Murad Reis che era stato nominato governatore di Tunisi. I magazzini della città, vuoti, venivano utilizzati per rinchiudervi quasi settemila schiavi cristiani.
Dopo un piccolo incidente (la galea imperiale si era arenata su un banco di sabbia a Garh el Melh), il 14 Giugno, Andrea Doria poteva collocare la flotta davanti alla fortezza de La Goletta che difendeva il porto di Tunisi: in prima fila c'erano le galee, poi le navi, dietro i galeoni, la caracca Grimaldi e la gran caracca maltese di Francois Touchebeuf. Quindicimila uomini sbarcavano e si trinceravano nei pressi di Capo Cartagine usando il legname degli uliveti della costa. Santa Cruz e Garcia de Toledo si curavano che la flotta non venisse attaccata alle spalle. Poi il 20 Giugno iniziava il bombardamento della fortezza: a turni di quattro le navi si avvicinavano e scaricavano i loro cannoni e poi tornavano indietro a ricaricare, tra queste navi c'erano anche quelle condotte da Antonio Doria e dal pontificio Gentile Virginio Orsini. Due galee condotte dal cavaliere di Malta Aurelio Bottigella venivano disalberate dal tiro dei difensori. Intanto dentro La Goletta, i comandati turchi Salech Rais, Chiafer Rais e Tabach Rais decidevano una sortita e si scontravano sotto le mura con il conte di Sarno Girolamo Tuttavilla che aveva tentato un'imprudente colpo di mano con un manipolo di uomini. Tabach rais, in particolare, durante lo scontro fingeva una ritirata e coglieva in imboscata il conte uccidendolo e consegnando poi la testa e la mano destra al Barbarossa.
La battaglia per La Goletta avrebbe preso presto però un'altra piega e questo sarebbe stato soltanto un episodio: sotto il tiro incessante dei cannoni della flotta, rafforzato dai sessantasei cannoni posti sugli otto ponti gran caracca maltese, prima crollava la torre posta all'imboccatura del porto, poi, dopo otto ore di bombardamento, si apriva una breccia nei bastioni. I cavalieri scendevano nell'acqua fino alla cintura armati di picce e di fuochi artificiali assaltando il tratto di mura diroccato. Il cavaliere di San Giovanni Guglielmo Cossier, che guidava gli imperiali seguito dal Santa Cruz, piantava nel varco il vessillo del suo ordine. Sinan conduceva tre assalti volti alla sua riconquista, ma tutte tre le volte veniva respinto. A La Goletta morivano in totale ottocento turchi e gli altri si davano alla fuga lasciando al nemico trecentoquaranta cannoni, quarantadue galee, tra cui la capitana del Barbarossa e l'ex capitana del Portonudo, quarantaquattro altre navi, più grandi quantità di polvere da sparo, proiettili, archibugi e frecce. I cristiani avevano perso cinquecento uomini.
Il Barbarossa a quel punto si poneva alla testa dei suoi uomini ed avanzava per ostacolare la marcia degli spagnoli sulla città. Spingeva avanti la cavalleria che era però respinta dall'imponente armata cristiana.
Il campo di battaglia si era spostato verso il centro città di Tunisi. I soldati imperiali erano costretti a spingere a braccia, in mancanza degli animali da traino, sei grossi cannoni e sei mezzicannoni. All'avanguardia vi erano due battaglioni di quattromila fanti, uno condotto dal marchese di Vasto ed uno dal principe di Salerno Ferrante da San Severino. Sui loro fianchi erano collocati gli archibugieri e dietro seguiva la retroguardia.
Barbarossa intanto voleva fare saltare in aria i magazzini nei quali erano rinchiusi gli schiavi cristiani, ma Aydin Rais e Sinan riuscivano a dissuaderlo. Gli schiavi, condotti dal cavaliere di Malta Paolo Simeoni (che era stato catturato da Sinan tre anni prima), trovavano modo di liberarsi.
All'apparire di questa forza inaspettata lo sbandamento dei turchi diventava ormai irreversibile, il Barbarossa si precipitava fuori del palazzo per un'uscita secondaria, attraversava a fatica le viuzze della casbah, sita sul lato sud della città e appena fuori dal quartiere, montava su un cavallo e prendeva la via del deserto.
”Le strade si trasformarono in mattatoi, le case divennero teatro del delitto e di vergogna, gli stessi cronisti cattolici ammettono gli abominevoli eccessi commessi dalla licenziosa e imbestialita soldataglia del grande Imperatore”. Le razzie duravano tre giorni finché i soldati e gli ex-schiavi non si rivoltavano gli uni contro gli altri per disputarsi il bottino. Le donne, comprese le anziane e le bambine, erano violentate e seviziate; gli uomini erano uccisi o mutilati. Gli ebrei venivano venduto come schiavi venendo riscatatti per lo più a Genova e Napoli.
Il presidio di La Goletta veniva affidato a Bernardino di Mendoza con mille fanti. Mulay Hassan tornava a regnare in cambio della promessa di un tributo e di non impiegare schiavi cristiani.
In Spagna ed in Italia si diffondeva la voce che il Barbarossa fosse morto in battaglia: la notizia provocava manifestazioni di esultanza popolare, processioni e Te Deum di ringraziamento, specie in Spagna.