Barbarossa attacca la galea di Papa Giulio II
Isola d'Elba, Giglio, Montecristo
Con Arouj Barbarossa & Khayr-al-din Barbarossa
I fratelli Arouj e Khayr-al-din Barbarossa decidevano che era giunto il momento di osare di più e, al comando di quattro piccole e maneggevoli fuste, risalivano il Tirreno appostandosi nell'arcipelago Toscano.
Nascosti in un'insenatura dell'isola d'Elba avvistavano nientemmeno che la galea ammiraglia della flotta pontificia comandata da Paolo Vettori, un nobile fiorentino, marchese della Gorgona, che stava trasportando da Genova a Civitavecchia delle merci preziose per conto di Papa Giulio II.
Paolo Vettori rassicurato dal fatto che i corsari nel Tirreno non si vedevano da anni e che la sua nave era potentemente armata scivolava placidamente nel canale che separava l'Elba dalla terraferma e accostava alla fusta corsara quasi solo per curiosità. Dal canto suo Arouj, per non dare altra possibilità ai suoi uomini che non fosse il combattimento, una volta portatosi verso il centro del canale aveva ordinato di gettare i remi in mare. La supponenza sul volto di Paolo Vettori era sparita rapidamente quando si era reso conto, con grande ritardo, del formicolare di turbanti sulla fusta nemica. I tamburi di allarme rullavano da pochi istanti sulla galea pontificia quando i corsari tunisini, protetti da una fitta pioggia di frecce e dardi, seguivano i balzi del loro capitano a bordo dell'imponente nave nemica e se ne impossessavano dopo un breve scontro. Paolo Vettori aveva simbolicamente consegnato la spada ed era fatto prigioniero.
Era stato tutto fulmineo: l'avvicinamento, le frecce, il colpo con il rostro di prua della fusta e il balzare degli uomini coi turbanti da un ponte all'altro, in circa venti minuti l'ammiraglia della flotta pontificia era stata presa.
Interrogati i superstiti e scoperta l'esistenza di una seconda imbarcazione della stessa fattura, che seguiva la prima da vicino, Arouj Barbarossa, dopo aver azzittito le perplessità degli altri capitani, ordinava ai prigionieri di svestirsi e consegnava gli abiti ai suoi uomini dando loro ordine di collocarsi nei punti più invista della galea pontificia. Inoltre dava indicazioni di prendere a rimorchio la propria fusta per far credere alla seconda galea pontificia che il vascello papale avesse fatto una preda.
I corsari travestiti, nel calore delle armature cristiane aspettavano fiduciosi che Baba (papà) Arouj desse loro l'ordine di aprire il fuoco verso la seconda galea che, intanto, aveva cambiato rotta sicura di andare a verificare il successo della compagna.
Lo stratagemma del corsaro dava i suoi frutti lasciando ufficiali e marinai papali completamente esterrefatti al momento delle scariche di frecce e dardi che preludevano ad un abbordaggio impari.
Dopo la conquista di entrambe le grosse galee pontificie sulle tolde un solo grido si alzava: Allah Akbar! Allah Akbar! Voluminoso, potente, riempiva tutto lo stretto braccio di mare che separava l'isola d'Elba dalla terraferma.
Centododici prigionieri di ogni età, venivano catturati e messi al remo della loro stessa nave, al contrario gli schiavi mori erano liberati. Tra i nuovi forzati c'erano alcuni giovani, uomini di chiesa e ricchi mercanti. Per costoro il riscatto richiesto sarebbe potuto ammontare a ben ducentomila ducati!
Arouj e Khayr-al-din Barbarossa prendevano le due galee pontificie a rimorchio e scivolavano tronfi verso sud tra le rocciose isole di Montecristo e del Giglio.